Per creare insieme un mondo equo in cui tuttɜ siano liberɜ di essere se stessɜ e vivere in armonia, con dignità e senza il timore di rappresaglie o discriminazioni, FVG Pride chiede:

Manifesto

Per creare insieme un mondo equo in cui tuttɜ siano liberɜ di essere se stessɜ e vivere in armonia, con dignità e senza il timore di rappresaglie o discriminazioni, FVG Pride chiede:

(DE)ISTITUZIONI

Chiediamo un’ampia adesione alla Rete Re.a.dy, la Rete Anti Discriminazione per le Pubbliche Amministrazioni, che è un’iniziativa diffusa dal Comune di Torino e che prevede, tramite un coinvolgimento orizzontale delle pubbliche amministrazioni, la condivisione di buone prassi inerenti le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Far parte della struttura non comporta alcun onere economico, ma solo l’impegno annuale di organizzare un evento volto alla sensibilizzazione e alla divulgazione dei temi trattati dalla Rete stessa. A partire dal 2018, con l’insediamento degli attuali governi, sia la Regione Friuli-Venezia Giulia che i Comuni di Udine e di Trieste sono usciti dal circuito senza fornire un valido motivo, creando un evidente vuoto di garanzie per qualsiasi minoranza.

Reclamiamo una rinnovata adesione, sia dalla Regione che dai Comuni di Udine e Trieste, per la promozione di una cultura sociale attiva nella lotta alle discriminazioni e nella valorizzazione delle differenze; invitiamo inoltre i Comuni della regione non aderenti a far parte della rete.

Esigiamo che lo Stato italiano garantisca la laicità dei suoi organi, affinché nessuna confessione religiosa o dellɜ funzionariɜ possano imporre un modello comportamentale, dettare scelte politiche o influenzare scelte giudiziarie che giustifichino pratiche sociali o atti discriminatori.

Chiediamo inoltre che gli enti pubblici ribadiscano la propria indipendenza dalle religioni spogliandosi dei simboli di culto, come ad esempio i crocefissi nelle scuole, che attentano tanto contro la laicità dello Stato quanto al diritto alla libertà religiosa.

Chiediamo che si garantisca che lɜ detenutɜ transgender vengano ospitatɜ nelle sezioni dedicate al proprio genere di elezione e non al genere anagrafico e che si creino e attuino programmi specifici di supporto per il reinserimento socio-lavorativo a fine sconto pena.

Chiediamo anche che si garantisca il benessere psico-fisico dellɜ carceratɜ LGBTQIA+, favorendo iniziative di informazione e sensibilizzazione per dipendenti e carceratɜ al fine di prevenire situazioni discriminatorie, attivando campagne informative sulla salute e il benessere sessuale e applicando piani attuativi di prevenzione della violenza di radice omolesbobitransnegativa.

Chiediamo che venga garantita sul territorio l’erogazione di servizi speciali di accoglienza per chi richiede la protezione internazionale ed è portatorə di esigenze particolari; questi servizi sono previsti dalle apposite normative nazionali ed europee anche per le persone LGBTQIA+ perseguitate nel loro paese d’origine a causa della loro identità sessuale.

Chiediamo inoltre che vengano rispettate le linee guida internazionali nelle commissioni territoriali, che non vengano tagliati i fondi destinati all’accoglienza e che sia garantito alle ONG di poter prestare la loro opera durante il soccorso.

In più, chiediamo che di garantire i processi di accoglienza, e che venga ripristinato il modello dell’accoglienza diffusa, un modello dimostratosi virtuoso per l’integrazione nel tessuto sociale locale ed emulato in molte altre città.

Esigiamo che vengano immediatamente smantellati i CPR, che sono una forma di detenzione che viola la dignità umana, a cominciare da quello ubicato a Gradisca d’Isonzo.

Chiediamo che la Regione Friuli-Venezia Giulia, in concerto con le realtà competenti del territorio, crei e finanzi stabilmente un centro permanente antiviolenza regionale che accolga e fornisca informazioni utili e servizi specifici di assistenza alle vittime di violenza omolesbobitransfobica.

Chiediamo inoltre il finanziamento stabile di una casa di accoglienza temporanea per persone LGBTQIA+ che abbiano subito discriminazioni o violenze e/o si ritrovino in situazione di estrema vulnerabilità, dove queste persone possano ricevere il supporto necessario a riprendersi e ricostruire le capacità per ritrovare la propria autonomia, sulla base del modello di eccellenza territoriale che è stato il progetto Villa CARRA.

Chiediamo che venga rispettato e implementato il bi-multilinguismo come previsto dalla legge. Il bi-multilinguismo è parte caratterizzante della nostra Regione ed è uno dei motivi che la rendono Regione Autonoma. Il rispetto per la multiculturalità e le differenze passa anche attraverso la lingua. Troppo spesso siamo testimoni di segnaletica stradale non bi-multilingue o altri casi di traduzioni palesemente sbagliate, per non parlare dei comunicati degli enti pubblici e dei testi prodotti dai servizi pubblici che sono spesso e volentieri testi tradotti con vari motori di ricerca e risultano insensati e pieni di errori. Seppure negli ultimi anni siano stati fatti molti passi avanti verso un rispetto maggiore nei confronti delle varie minoranze linguistiche che compongono la nostra Regione, questi sforzi non bastano. Non si può continuare a imputare a ragioni economiche la mancanza e la bassa qualità delle traduzioni. Siamo una terra composta da tante realtà e minoranze. Il rispetto del bi-multilinguismo deve diventare la base di partenza sulla quale costruire dei ponti.

Troppo spesso assistiamo ad esempi di vandalismo dove le scritte slovene e friulane vengono macchiate e nascoste. Questi sono rimasugli di fascismo, di una società che ha paura della diversità e la combatte piuttosto che accoglierla e che non si rende conto di quanto la diversità la accresca.

DEI DIRITTI E DEI PENI

Chiediamo una modifica della legge n. 76/2016 (“legge Cirinnà”) che è una legge apartheid in quanto riserva alle coppie formate da persone dello stesso sesso un “istituto esclusivo”, mentre il matrimonio civile resta vietato per le persone in una relazione non-eterosessuale. Questa norma di fatto legittima la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, e ci rende cittadinɜ di serie B.
Esigiamo che lo Stato attualizzi l’arcaico e discriminatorio istituto del matrimonio civile, rivedendone i principi fondanti, cassando le norme dal retaggio patriarcale (es. artt. 89 e 143- bis cc) ed estendendolo alle persone in una relazione non-eterosessuale.

In attesa che finalmente anche in Italia venga sancito il matrimonio egualitario, esigiamo che i matrimoni celebrati all’estero tra cittadinɜ italianɜ e stranierɜ siano trascritti nei registri dei matrimoni dei Comuni e non nei registri delle unioni civili, degradando quindi i loro diritti e tutele.

Chiediamo il recepimento del regolamento approvato dalla Commissione Europea a dicembre 2022 che impone la tutela delle famiglie omogenitoriali. Uno degli articoli, in particolare, tutela il riconoscimento dellɜ figliɜ di coppie LGBTQI+: se riconosciutɜ come tali da 1 dei 27 Paesi dell’Unione Europea, tale riconoscimento dovrà essere riconosciuto anche in tutti gli altri Stati membri.
Il concetto di “famiglia” alla base di ogni istituto giuridico, inoltre, si rivela essere datato ed incompatibile con la realtà dei fatti. Riteniamo che oggi si possa parlare di diversi tipi di “famiglia” o più propriamente di diversi modi di vivere le relazioni affettive e/o sociali, monogame oppure no, nondimeno degne di considerazione e tutele.

Sulla scia di tale regolamento, chiediamo che lo Stato italiano garantisca ad ogni genitore di poter riconoscere alla nascita lɜ proprɜ figliɜ, anche natɜ all’estero. Ciò include il riconoscimento possibile non solo per il genitore biologico ma anche per lə partner: chiediamo il diritto all’adozione piena e legittimante anche da parte del genitore sociale, e che sia tutelato anche nei casi di una separazione.

Chiediamo che lo Stato italiano consenta l’adozione di minori da parte di persone singole e di coppie a prescindere dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale.

Infine, chiediamo che ci siano una discussione e una revisione degli istituti giuridici legati al tema della famiglia e a tutto ciò ivi connesso (si pensi, ad esempio, al vincolo di “affinità”), nonché la revisione di termini giuridici anacronistici come “… il buon padre di famiglia”.

Chiediamo una legge che condanni l’omolesbobitransfobia, che equipari l’odio omolesbobitransfobico alle aggravanti discriminatorie e di odio (quale ad esempio il razzismo) e che preveda azioni positive, migliorative e di tutela delle minoranze LGBTQIA+. È necessario vietare le terapie riparative: la letteratura scientifica in merito ha dimostrato che non hanno alcun fondamento scientifico e che, anzi, hanno conseguenze negative gravi per la salute mentale e fisica dellɜ “pazienti”. Si deve inoltre vietare la propaganda anti-LGBTQIA+. L’omolesbobitransfobia non è un’opinione e nessunə può reclamare il diritto a discriminare liberamente una fascia di popolazione.

Chiediamo che il sex work volontario fra persone adulte e autodeterminate venga decriminalizzato. Lo stato non può continuare ad ignorare una realtà che coinvolge migliaia di lavoratorɜ e milioni di clienti abbandonando tutto ciò nell’illegalità. A chi svolge volontariamente questo lavoro, lo Stato deve

garantire il diritto al welfare, alla salute e alla  sicurezza, nel rispetto dei Diritti Umani e della Dignità come per ogni altrə lavoratorə.

Dal momento che la maggioranza dellɜ sex workers in Europa sono persone migranti in situazione di vulnerabilità e che si confrontano ogni giorno con  la violazione dei loro diritti umani a causa delle leggi sull’immigrazione, delle leggi contro la prostituzione e di politiche  ostili verso le persone LGBTQIA+, è urgente garantire supporto allɜ sex workers, garantendo che queste persone non subiscano una multipla discriminazione a causa della loro situazione di persone migranti, rifugiate o LGBTQIA+, per  assicurare accesso alla giustizia, all’ottenimento dei documenti e al lavoro, togliendolɜ dalla clandestinità. Il sex work può essere decriminalizzato senza rinunciare alla lotta alla tratta, allo sfruttamento e ad ogni aspetto di violenza, che  invece vanno colpiti duramente.

Lɜ sex worker stanno, attualmente, pagando un prezzo troppo alto, che va da atti di estrema violenza, fino alla morte, come nei recenti casi di Sarzana, Roma e Torino. Riteniamo inaccettabile che lo Stato non prenda una posizione rispetto a questi crimini di chiara matrice d’odio e chiediamo che si esponga condannandoli duramente.

Ogni Ente Pubblico o Pubblica Amministrazione, comprese le Università degli Studi di Udine e di Trieste, deve garantire l’identità alias per il proprio personale e per lɜ studenti transegener e/o non binariɜ. Essa consiste nell’avere il proprio nome e il proprio genere di elezione al posto dei rispettivi dati anagrafici in ogni documento o indirizzo, fisico o digitale, in cui essi appaiono. Il dead-naming, ossia la pratica di rivolgersi  volontariamente a una persona tramite il nome anagrafico abbandonato anziché con il nome di elezione, deve essere  scoraggiata e perseguita.

Chiediamo l’abrogazione della legge n. 40/2004 per consentire l’accesso alla procreazione medicalmente assistita (PMA) a tutte le persone, singole o in coppia, indipendentemente dall’identità di genere e/o dall’orientamento sessuale, favorendo la tutela di tutte le genitorialità.

Chiediamo che venga rispettata la libertà di scelta e la libertà di autodeterminazione rispetto alla vita sessuale, riproduttiva e affettiva di tuttɜ. Per questo motivo chiediamo in particolare che cessino gli attacchi all’autodeterminazione delle donne, il più visibile bersaglio delle imposizioni eteropatriarcali ancora radicate nella società italiana. In particolare chiediamo che cessino gli interventi legislativi per rendere più oneroso il divorzio e più difficile l’affidamento dellɜ figlɜ delle coppie separate e che non venga ostacolata in alcun modo l’interruzione volontaria di gravidanza, intervenendo anzi in senso migliorativo ed eliminando l’obiezione di coscienza nella sanità pubblica. Chiediamo inoltre che

vengano aumentate le risorse per le istituzioni e le associazioni che si occupano di assistenza e salute delle donne e che ci sia una maggiore attenzione delle istituzioni all’eliminazione del gender gap.

Esigiamo che lo Stato rifiuti nelle parole e nei fatti l’ideologia eteropatriarcale che impone alle donne l’unico ruolo possibile e subalterno di madri e mogli.

Chiediamo il riconoscimento da parte dello Stato del diritto all’identità di genere e all’autodeterminazione delle persone transgender, non-binarie, queer e intersex. Vogliamo l’aggiornamento dei campi dei documenti anagrafici: che si parli di “genere” e non di “sesso” nei documenti e che sia prevista almeno una terza opzione per le individualità che non si riconoscono nel binarismo di genere o la cui realtà fisiologica e fenotipica non sia ascrivibile a uno dei due poli.

La rettifica dei dati anagrafici per le persone transgender o non-binarie, deve essere svincolata dalla volontà di sottoporsi o meno a trattamenti medici ormonali o chirurgici.

Vogliamo che lo Stato italiano depatologizzi le varianti delle caratteristiche sessuali all’interno di linee guida e protocolli medici e che accetti l’intersessualità come variante naturale della fisiologia genitale.

Pretendiamo che tutti i manuali diagnostici e le associazioni di professionisti della salute rimuovano il Transgenderismo, la Transessualità o la Disforia di Genere dalla lista delle malattie mentali, seguendo l’esempio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Chiediamo che lo Stato dichiari come illegali le mutilazioni genitali e le cosiddette chirurgie correttive alla nascita, che costringono le persone intersex dentro un’etichetta decisa arbitrariamente dallɜ medicɜ. Qualsiasi intervento chirurgico o farmacologico volto a normalizzare un corpo che non rientra nelle tipiche nozioni binarie del maschile o femminile dev’essere permesso solo dopo aver ottenuto il consenso informato della persona interessata.

Chiediamo che i seggi elettorali vengano resi inclusivi, accessibili e rispettosi a tutte le identità trans. Le procedure di voto previste dall’Art. 5 del DPR n° 223 del 20 marzo 1967, che prevedono la divisione dei seggi in file elettorali divise per genere maschile e femminile, infatti, rappresentano, ad oggi, una limitazione all’esercizio del diritto di voto per migliaia di persone transgender e non binarie costringendole a coming out forzati. Costringere la comunità trans a coming out forzati in ambienti non preparati ad accoglierli, significa esporre le persone alla non remota possibilità di divenire bersaglio di ostilità, discriminazioni e violenza in virtù della propria identità di genere.

Chiediamo, inoltre, che vengano velocizzate le procedure di rettifica anagrafica dei documenti. Migliaia di persone aventi diritto al voto in questo momento in Italia non sono in possesso di documenti conformi alla propria identità, questo a causa dell’ormai obsoleta legge 164 del 1982 che regola in Italia il processo di rettifica anagrafica dei documenti e richiede alle persone lunghi tempi della burocrazia nei tribunali italiani per poter ottenere un documento che le riconosca nei propri rapporti sociali quotidiani.

PAZIENTI FINO AD UN CERTO PUNTO: SALUTE E BENESSERE

Chiediamo che siano potenziati gli strumenti attuali che dovrebbero garantire l’accesso alla salute psicologica e che lɜ espertɜ di questo settore vengano preventivamente formatɜ sulle tematiche LGBTQIA+.

Riteniamo che la salute emotiva e psicologica, come parte essenziale del diritto alla salute, sia un diritto inalienabile di tutte le persone e che debba essere garantita per tuttɜ l’accessibilità agli strumenti per tutelarla. Per troppo a lungo il nostro Stato e le altre istituzioni che ci governano hanno ignorato la questione dell’accessibilità alla salute psicologica, emotiva e mentale, creando delle grosse disparità a livello sociale. Queste problematiche sono accentuate per quanto riguarda la comunità LGBTQIA+, che, come le altre minoranze sociali, risente di uno stigma specifico legato al clima discriminatorio della nostra cultura. Sebbene nell’ultimo periodo siano state introdotte delle misure per semplificare l’accesso alla salute mentale, sia a livello nazionale che regionale, esse si sono dimostrate insufficienti rispetto alla domanda della popolazione e, quindi, inefficaci nel loro scopo. Ribadiamo, quindi, la necessità di strategie sistematiche che rivoluzionino l’accesso al diritto alla salute psicologica. Sottolineiamo anche come troppo spesso lɜ espertɜ del settore presenti sia nella rete pubblica che in quella privata non siano formatɜ adeguatamente per potersi approcciare alle problematiche e ai bisogni delle minoranze sociali, fra cui la comunità LGBTQIA+.

La comunità LGBTQIA+ lotta per una sessualità libera, consapevole e informata per la quale i reparti IST delle Aziende Sanitarie presenti in Regione giocano un ruolo chiave. Per questo sollecitiamo la Regione Friuli-Venezia Giulia affinché aumenti i finanziamenti a tali reparti, specialmente per quanto riguarda la prevenzione. Chiediamo che si crei un coordinamento regionale dei reparti IST delle Aziende Sanitarie regionali con il proposito di offrire un servizio più efficiente e realizzare la prevenzione in modo strategico; chiediamo anche che la Regione Friuli-Venezia Giulia conceda al Centro di Malattie Sessualmente Trasmissibili di Gorizia il riconoscimento, alla luce della sua eccellenza nella prassi e nella accoglienza dellɜ pazienti, di centro capofila del richiesto coordinamento.

Chiediamo alla Regione Friuli-Venezia Giulia che siano create, finanziate, attivate e coordinate nuove campagne pubbliche di informazione sulle infezioni da HIV e sulle infezioni a trasmissione sessuale in generale, e che sia promosso su larga scala il preservativo come strumento di prevenzione contro le IST.

Chiediamo che vengano create anche campagne informative specifiche per promuovere i mezzi di prevenzione dell’ HIV alternativi a quelli barriera come Prep (profilassi pre esposizione) e Pep (profilassi post esposizione). Chiediamo inoltre che la regione Friuli- Venezia Giulia si adoperi per rendere gratuiti condom, femidom e oraldam, e che venga prevista una forma di rimborso per rendere accessibile la Prep a tutte le persone a cui venga prescritta.

Sollecitiamo inoltre un ampliamento dei servizi di prevenzione: che sia esteso e generalizzato il regime di anonimato e gratuità dei test per le IST più comuni come gonorrea, epatiti e sifilide, e che il servizio sia offerto con maggiore visibilità; che sia promosso il test rapido per l’HIV; che sia offerto attivamente il test HIV community-based in luoghi non convenzionali in ottica CBvCT (Community-Based voluntary Counselling and Testing) e secondo il protocollo HIV CoBATEST a popolazioni maggiormente esposte all’HIV (MSM – Maschi che fanno sesso con Maschi, IDU – chi usa droghe iniettabili, sex-worker migranti); che sia ampliata la gratuità del vaccino dell’HPV.

Non è accettabile che in un Paese come l’Italia una legge approvata più di quarant’anni fa, quella che consente alla donna di ricorrere alla IVG in una struttura pubblica, non trovi ancora la sua piena applicazione. Abbiamo lottato per ottenere questo diritto, costantemente criticato anche dopo il suo riconoscimento parlamentare, ed è bene ricordare che l’88% dei cittadini si è opposto alla cancellazione di questa legge nel corso di un referendum popolare. In Italia (dati Istituto Superiore di Sanità del maggio 2022 relativi al 2020) il 64,6% dei ginecologi, 44,6% degli anestesisti e 36,2% del personale non medico si dichiarano obiettori di coscienza, con ampie variazioni regionali. L’accesso all’IVG per la donna viene costantemente ostacolato, se non addirittura negato, rendendo drammatico e umiliante un percorso di per sé spesso difficile da intraprendere.

La stragrande maggioranza del personale sanitario non è formato né informato rispetto ai bisogni sessuali e riproduttivi della persona LGBTQIA+. Non sono inoltre previsti servizi pubblici che si occupino della presa in carico del desiderio di genitorialità dei singoli e delle coppie queer. 

Chiediamo che venga garantita la piena applicazione della Legge 22 maggio 1978 n. 194 e che siano potenziati i consultori del territorio, per garantire l’accesso libero e gratuito alle cure e all’interruzione volontaria di gravidanza. Chiediamo l’abolizione dell’obiezione di coscienza nei presidi pubblici o che sia perlomeno sempre garantito in ogni ospedale un numero di medicɜ e infermierɜ non obiettorɜ congruo ad assicurare il servizio sanitario di interruzione della gravidanza in qualsiasi momento, entro i limiti imposti dalla normativa vigente. Difendiamo il principio secondo cui tutte le donne hanno diritto di scegliere, in assenza di controindicazioni ed entro la nona settimana di gravidanza, il metodo farmacologico per l’IVG (RU-468). È per noi irrinunciabile che venga rispettata la volontà di autodeterminazione della donna e il diritto di ciascunə di scegliere come disporre liberamente del proprio corpo. Chiediamo il diritto alla contraccezione gratuita in tutto il territorio nazionale.

Riteniamo fondamentale e imprescindibile che chiunque acceda ad un servizio sanitario pubblico che si occupa di salute sessuale e riproduttiva, quale i consultori regionali o gli stessi reparti ospedalieri, venga accoltə, ascoltatə e presə in carico da personale medico-sanitario non giudicante, informato, aggiornato e competente rispetto alle tematiche sessuali e riproduttive specifiche riguardanti le persone LGBTQIA+. Chiediamo norme che prevengano e contrastino la violenza ginecologica e ostetrica, affinché ogni atto medico sia adeguatamente spiegato e in ogni caso preceduto da un esplicitato consenso informato, nella piena applicazione delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1985).

Chiediamo il riconoscimento da parte del Servizio Sanitario Nazionale di vulvodinia, neuropatia del pudendo, endometriosi di I e II stadio, adenomiosi e fibromialgia come malattie croniche e invalidanti e l’inserimento di vulvodinia, neuropatia del pudendo e fibromialgia nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

Chiediamo che il personale medico e sanitario sia in grado di fornire informazioni cliniche relativamente alle tecniche di procreazione medicalmente assistita dedicate alle coppie LGBTQIA+. Chiediamo che all’interno dei percorsi di affermazione di genere venga discusso e tutelato il diritto di riproduzione e genitorialità della persona trans e non binaria.

Chiediamo che la Regione FVG con il supporto delle Aziende Sanitarie della regione istituisca in tutta il territorio e non solo presso i capoluoghi di provincia, dei centri presso i quali le famiglie delle persone LGBTQIA+ possano rivolgersi per ricevere informazioni, aiuto e supporto.
Chiediamo inoltre che le Aziende Sanitarie formino in modo adeguato il personale socio-sanitario e i medici di medicina generale affinché questi possano fornire le informazioni necessarie alle famiglie e allɜ giovanɜ sia nell’ambito della cura e della prevenzione, sia nel processo di crescita sessuale e affettiva, con particolare attenzione e inclusione anche alle sessualità non cis-etero.

Chiediamo che lɜ caregivers e le organizzazioni che lavorano nell’invecchiamento attivo abbiano fra le proprie competenze una formazione specifica e una conoscenza approfondita delle peculiarità della condizione di persona anziana appartenente alla comunità LGBTQIA+ e di conseguenza si attuino azioni mirate a rispondere ai loro bisogni.

Le persone LGBTQIA+ senior sono tendenzialmente invisibili e la solitudine involontaria per costoro ha una doppia matrice: la discriminazione sulla base dell’età e quella basata sull’identità sessuale. La prima, già diffusa nella nostra società, ha un rilievo ancor più particolare nella comunità e nella cultura LGBTQIA+, specialmente nell’ambiente maschile e per i grandi adulti over 50 che si avviano alla terza età. La seconda porta con sé peculiarità che cambiano fisionomia in base alla maggiore o minore confidenza con cui l’individuə socializza la propria identità sessuale; a ciò si aggiunge la fragilità potenziale di un supporto sociale che in Italia si basa spesso sui legami famigliari di sangue, più inclini a sgretolarsi per le persone anziane LGBTQIA+ senza discendenti.

Rivendichiamo, sosteniamo e promuoviamo l’accessibilità universale, in ogni sua declinazione, con particolare attenzione a rendere accessibili l’informazione, gli eventi e luoghi della comunità garantendo così una piena partecipazione delle persone disabili agli stessi.

Chiediamo inoltre che nei centri e nelle strutture protette venga rispettato il diritto alla sessualità delle persone disabili fuori delle logiche di infantilizzazione e sia garantita, a prescindere dal proprio orientamento sessuale e dalla propria identità di genere, una completa educazione all’affettività e alla sessualità. Chiediamo, inoltre, che venga legalizzata e tutelata la figura dellə operatorə all’emotività, affettività e sessualità per persone con disabilità (OEAS).

Vogliamo che gli interventi di rettifica chirurgica dei caratteri sessuali secondari siano trattati dal Ministero della Salute con pari dignità ed urgenza di tutti gli altri interventi chirurgici.

Chiediamo che le persone transgender, transessuali e non-binarie non debbano più aspettare anni per essere sottoposte alle operazioni perché considerati interventi puramente estetici, che lo Stato smetta di ostacolare il percorso di affermazione di genere facendo continuamente ostruzionismo sulla nostra pelle.

Chiediamo che si cessi di considerare la neurodivergenza solamente in senso medicalizzante e piuttosto si riconosca la neurodivergenza come una specificità umana e non come una condizione da curare. Chiediamo inoltre che chi si trova, professionalmente o personalmente ad occuparsi di persone neurodivergenti, riceva una formazione adeguata anche sulle questioni LGBTQIA+. Infine, chiediamo che anche negli istituti scolastici venga pensata ed effettuata una formazione specifica sulla neurodivergenza, dal momento che molte persone neurodivergenti si trovano a scoprire la propria condizione solo da adulte.

Secondo Acanfora (2021), la neurodiversità è “la variabilità tra le differenti caratteristiche che costituiscono la neurologia di ciascuna persona.” In questa variabilità, esistono determinate caratteristiche che si presentano con una certa frequenza in alcune persone. Per circa l’80% della popolazione, possiamo parlare di sviluppo neurologico tipico, ovvero di un modo abbastanza omogeneo di percepire gli stimoli interni ed esterni, di elaborarli nel modo di relazionarsi a sé stess* e all’ambiente attraverso i comportamenti. Il restante 20% rappresenta le cosiddette neurodivergenze, ed è composto da quelle persone che hanno seguito uno sviluppo neurologico più o meno differente rispetto alla media. In questa categoria rientrano le persone autistiche, ADHD, dislessiche, disprassiche, tourettiche, discalculiche, disgrafiche, ecc. All’interno della comunità LGBTQIA+, un numero rilevante di persone è anche neurodivergente. Queste due caratteristiche non possono quindi essere considerate singolarmente ma vanno affrontate in un’ottica intersezionale: non è possibile scorporarle proprio perché, queste persone, si trovano a subire due tipi di discriminazione diversi, ma intrinsecamente collegati.

Chiediamo che venga abolita interamente l’IVA sui dispositivi igienici femminili, compostabili e non compostabili, analogamente ad altri paesi, come la Scozia (dal 2020) e il Regno Unito (dal 2021). Le mestruazioni non sono un lusso che si decide di avere e riteniamo il diritto all’igiene un diritto universale ed una delle prime necessità inviolabili in un paese che si dichiara civile.

Chiediamo inoltre che i dispositivi igienici femminili vengano distribuiti gratuitamente negli edifici pubblici, nelle scuole e nei posti di lavoro, come succede in Scozia dal 2022. Non possiamo infatti dimenticare e volutamente ignorare l’esistenza del fenomeno della “period poverty”, ovvero dell’impossibilità economica di potersi garantire un’igiene adeguata durante il periodo mestruale. Molte persone, durante le mestruazioni, non si recano a lavoro perché non sono in grado di permettersi l’acquisto di assorbenti e sono costrette ad usare asciugamani, stracci e abiti usati, esponendosi ad un elevato rischio di infezioni. Si tende a pensare che questo tipo di povertà colpisca solo le persone mestruanti che vivono in paesi più economicamente in difficoltà, quando in realtà, anche in paesi a noi vicini, come l’Inghilterra, 1 persona su 10 non riesce ad acquistare dispositivi igienici femminili.

Infine, chiediamo alla regione di organizzare corsi di formazione al fine di de-stigmatizzare le mestruazioni e di organizzare contestualmente delle campagne informative per promuovere l’utilizzo degli esistenti dispositivi igienici alternativi ai classici assorbenti, come le coppette mestruali o le mutande assorbenti, in modo da ridurre l’impatto che questi hanno sulla nostra salute, sull’ambiente e sulle nostre finanze. Siamo infatti convintɜ che l’informazione generi criterio, ed il criterio generi scelte più sostenibili.

EDUCAZIONE E PREVENZIONE: DEVIANZA IN ABBONDANZA!

Chiediamo che nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) di ogni scuola pubblica sia garantita una vera educazione all’affettività e alla sessualità, così come alle differenze, attuata di concerto con i soggetti competenti e adeguata all’età dellɜ studenti, che coinvolga anche le famiglie, improntata sui principi democratici del rispetto e dell’accoglienza di ogni diversità. Infatti il primo passo per la comprensione è l’educazione in quanto è grave constatare che, nel 2023, sono tantissime le persone che non sanno il corretto significato delle parole lesbica, gay, bisessuale, transessuale, transgender, non-binary, questioning, queer, intersex e asessuale. Riteniamo, dunque, doveroso che lo Stato fornisca allɜ proprɜ cittadinɜ gli strumenti culturali base per comprendere cosa siano le minoranze sessuali e di genere discriminate e a quali rischi vanno incontro le persone che ne fanno parte.

Chiediamo inoltre che nel PTOF vengano elencate, tra i soggetti a maggior rischio di discriminazione, anche le identità LGBTQIA+ e venga preso l’impegno a promuovere il benessere psicofisico e a tutelare il pieno godimento del diritto all’istruzione dellɜ studenti LGBTQIA+.

Chiediamo che il personale delle scuole pubbliche accolga e valorizzi tutte le esperienze familiari di provenienza dellɜ alunnɜ e che al corpo docente e amministrativo delle scuole sia offerta la formazione necessaria per trattare con rispetto lɜ studenti LGBTQIA+.

Ricordiamo alla Regione FVG che il progetto “A scuola per conoscerci” lo ha fatto e, nei suoi 14 anni di vita, si è dimostrato uno strumento utile ed efficace nella prevenzione e nel contrasto del bullismo omolesbobitransfobico nelle scuole della Regione: esigiamo che, in mancanza di altri strumenti che si dimostrino più efficaci, la Regione torni a finanziare il progetto così come gli altri progetti sulla stessa tematica e sull’educazione alle differenze.

Nella stessa maniera sollecitiamo che al resto dellɜ dipendenti pubblicɜ e in particolare allɜ lavoratorɜ degli uffici a diretto contatto con il pubblico, alle forze dell’ordine e al personale operante nei servizi sanitari che sono più spesso a contatto diretto con lɜ cittadinɜ, sia offerta la formazione e/o l’aggiornamento necessari per trattare con rispetto e professionalità lɜ cittadinɜ LGBTQIA+, al fine di prevenire trattamenti discriminatori nelle Pubbliche Amministrazioni.

Chiediamo, infine, che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca fornisca fondi specifici e incoraggi progetti di ricerca concernenti studi di genere e queer studies.

Chiediamo che, nella lotta alla diseguaglianza e allo smantellamento di quei paradigmi patriarcali che tanto nuocciono a tuttɜ, si prenda in considerazione la lotta per l’accettazione di tutti i corpi, indipendentemente dalle loro dimensioni, dalla loro forma, dal tono della pelle, dal sesso e dalle capacità fisiche, sfidando gli attuali standard di bellezza, che consideriamo come un “costrutto sociale indesiderabile”.

Chiediamo inoltre che venga offerta, alle persone grasse, un’assistenza sanitaria adeguata, che non faccia risalire ogni possibile loro sintomo al peso ritenuto in peso. Chiediamo, inoltre, giustizia lavorativa, per le persone grasse, che sostituisca l’attuale modus operandi che le vede scartate, o in ogni caso pagate meno, a prescindere dal tipo di lavoro o dalle competenze che vengono richieste.

Auspichiamo quindi lo smantellamento dello stigma sociale dell’obesità, dimostrando al grande pubblico come esistano nella realtà degli ostacoli nei confronti delle persone grasse, intesi come gli approcci estetici, legali e medici.

Riteniamo l’autodeterminazione di sé un diritto inalienabile dell’essere umano, da difendere e proteggere in tutti gli ambiti sociali che i nostri corpi vivono, e riconosciamo come le persone con corpi non conformi siano soggette ad ulteriori discriminazioni rispetto alle persone con corpi socialmente considerati validi.

In particolare, consideriamo inaccettabile la paura e l’antipatia nei confronti delle persone obese e/o dell’obesità più in generale, ma anche il pregiudizio verso le persone grasse, l’odio e la marginalizzazione che i corpi grassi subiscono. Consideriamo la grassofobia come uno strumento di oppressione razziale, classista e abilista, che cerca di codificare un tipo di corpo considerato “ideale”, che si riflette in un’estetica bianca e occidentale e che tenta di correlare magrezza e salubrità, perpetrando la violenza della supremazia bianca nei confronti delle persone nere, ma anche l’oppressione classista nei confronti delle persone che vivono con risorse limitate e l’idea abilista della salute come indicatore del valore umano.

Chiediamo che venga posta, all’interno di tutte le istituzioni, particolare attenzione ad un uso del linguaggio che sia il più inclusivo possibile. Siamo infatti consapevoli che il linguaggio è tra gli strumenti più potenti e performanti di conservazione del patriarcato e nella lotta alla diseguaglianza e allo smantellamento di quei paradigmi che contestiamo, debba giocare un ruolo di fondamentale importanza.

Chiediamo che si faccia formazione all’uso del linguaggio inclusivo nelle scuole perché sappiamo che, sebbene la maggior parte delle discriminazioni siano veicolate ad ampio raggio da tutta la società e dai suoi simboli, esse si tramandano e si trasmettono, in prima istanza, all’interno dei nuclei familiari e nei primi anni di scolarizzazione, proprio attraverso il linguaggio. È la lingua, attraverso contenuti e rappresentazioni, il primo strumento di persuasione per la discriminazione.

Chiediamo infine che ci si adoperi per far cessare l’utilizzo del linguaggio con l’intento di esprimere odio o violenza verso una persona o un gruppo di persone, sulla base di caratteristiche come la provenienza, la religione, il sesso, il genere o l’orientamento sessuale (hate speech).